martedì 30 giugno 2009

I nostri occhi sporchi di terra

di Dario Buzzolan
2009, Baldini & Castoldi Dalai
Pag. 303 Euro 17,50

Nato a Torino nel 1966, Dario Buzzolan esordisce nella narrativa nel 1998 con "Dall’altra parte degli occhi" aggiudicandosi il Prix Calvino. Due anni dopo firma il giallo "Non dimenticarti di respirare", mentre è del 2003 il thriller "Tutto brucia". Nel 2007, con "Favola dei due che divennero uno", l’autore cambia registro e si confronta felicemente con il fantasy, genere poco frequentato dagli scrittori nostrani. Ora con "I nostri occhi sporchi di terra" (Baldini Castoldi Dalai editore) raggiunge la maturità letteraria, entrando con merito nella dozzina degli autori candidati al Premio Strega 2009.
1945. La guerra è finita ma nelle città e in montagna si spara ancora e gli orrori sembrano non avere fine.
Circa 50 anni dopo, per l’esattezza nel 1994, Marianna, una ventisettenne inquieta con la passione per la fotografia, appena tornata da un lungo viaggio all’estero riceve una brutta notizia. Suo padre, Davide, è scomparso nel Po, nei pressi di Torino. La polizia sospetta che si tratti di un suicidio. Giorni prima l’uomo era stato accusato di un omicidio commesso durante gli anni della guerra. Davide, partigiano della prima ora, avrebbe ucciso un repubblichino pochi giorni dopo la fine delle ostilità. L’opinione pubblica si è divisa tra chi considera il delitto una vendetta personale e chi un vero e proprio assassinio a sangue freddo.
Marianna ha avuto un rapporto sfuggente col padre e ignora quasi tutto della sua vita. La drammatica circostanza in cui si viene a trovare accende in lei la curiosità e il dovere morale di scoprire la verità. L’unica traccia che ha la porta a contattare Ella Nykvist, un’anziana attrice di teatro che godeva della stima del padre. Le due donne in apparenza sembrano non avere nulla in comune tra loro e tuttavia, dopo un primo incontro burrascoso, esse scoprono di condividere un sentimento d’amore, seppur differente nelle motivazioni, verso quell’uomo misterioso che sembra essere svanito nel nulla. Marianna e Ella intraprendono un’indagine che le porta in viaggio per l’Italia nel tentativo di ricostruire il passato travagliato di Davide: la sua adesione convinta alla guerra partigiana, le sue delusioni, i suoi amori.
L’incompiutezza dei personaggi, incompiutezza che fa mettere in discussione le proprie radici per decidere di trovarle altrove, è il tema dominante della narrativa di Buzzolan. Siano essi uomini o donne, i protagonisti dei suoi romanzi sono accomunati da un senso di inadeguatezza di fronte alla propria vita. Tale fragilità è compensata da una tenacia che porta i protagonisti a intraprendere delle indagini alla ricerca di una verità che si rivela una cartina di tornasole per scoprire se stessi.
Anche stavolta il fil rouge della storia è dunque la ricerca. Marianna, ragazza inquieta, in perenne movimento, vuole conoscere il passato del padre perché solo così sarà in grado di comprendere meglio se stessa.
Nel costruire l’architettura del romanzo, che alterna l’indagine compiuta dalla protagonista ai flashback della vita di Davide, Buzzolan interseca differenti elementi narrativi. C’è innanzitutto il melò, romantico certo ma misurato e sobrio, e poi c’è il giallo, tutto italiano nella descrizione dei personaggi e degli ambienti. C’è anche una terza, più ambiziosa cifra, ed è quella storica, incentrata sulla Resistenza, dove è inevitabile pensare all’opera di Fenoglio. Di fronte alle controverse tesi di alcuni storici revisionisti che più di Resistenza preferiscono parlare di guerra civile, Buzzolan prende una posizione netta come quella del suo protagonista allorché, in uno dei momenti più drammatici del libro, è costretto a spiegare le sue motivazioni: “Si è messo a gridare che la mia scelta e quella di suo fratello, io partigiano lui repubblichino, si equivalevano. Tutti e due combattevano per degli ideali. A quel punto ho gridato anch’io. Gli ho detto: puoi girarla come vuoi, tanto la ragione resta ragione e il torto resta torto… e la storia non la raccontano i vincitori, come dici tu… ma semplicemente chi ha buona memoria.”
Questo Davide, stoicamente legato alle sue convinzioni, incapace di adattarsi ai tempi che mutano, così legato al suo passato di ideali e nobili valori, dissoltisi col boom economico prima e con i tumultuosi anni ’70 poi, è un uomo sconfitto dalla storia ma non vinto, parente prossimo del personaggio di Silvio Magnozzi, interpretato da Alberto Sordi in "Una vita difficile" di Dino Risi, come peraltro l’autore rivela nei ringraziamenti del libro.
Un italiano tutto d’un pezzo, dunque, che ci fa un po’ vergognare del nostro italico trasformismo.